Il silenzio delle vittime di cyberbullismo: un’analisi
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Il silenzio delle vittime di cyberbullismo: un’analisi

Puglia

I dati parlano chiaro: stando ad una relazione presentata dalla Polizia Postale in occasione del “Safer Internet Day” presso il Ministero dell’Interno, a Roma (patrocinato dall’Università “La Sapienza” di Roma e dal Moige, “Movimento Italiano Genitori”), “sette ragazzi su dieci sono convinti che le vittime di cyberbullismo dovrebbero parlarne solo con i coetanei”, escludendo gli adulti, che si tratti di genitori, docenti, forze dell’ordine.

Una tendenza preoccupante, che testimonia come il divario generazionale tra i “Millennials” (gli adolescenti nati tra gli anni Ottanta e il primo quinquennio del 2000) e il mondo degli over-trentenni perduri, ed anzi si rafforzi progressivamente.
L’indagine, condotta su un campione di 1342 ragazzi delle superiori e coordinata dalla professoressa Anna Maria Giannini, fotografa una realtà di totale smarrimento, disagio ed omertà. “L’anno scorso sono stati 354 i casi segnalati con vittime minorenni116 erano stati oggetto di ingiurie e molestie, in 87 di diffamazioni online, in 123 di stalking”.

E’indubbio, in virtù delle cifre rilevate, che l’anarchia domini sovrana sulla Rete, favorita dal relativo anonimato che garantisce uno schermo e dalla generalizzata incapacità da parte dei più giovani di costituire fronte comune contro i bulli. Gli organi di vigilanza faticano a raccapezzarsi in questa giungla di file e documenti compromettenti, in un dedalo di siti Web, forum, blog, chat.

E gli episodi di violenza impunita aumentano, nell’ignoranza delle famiglie. Appare come un cliché difficilmente sradicabile il mutismo che sussiste tra giovani ed adulti. Molteplici le cause alla base di tale atteggiamento: timore di essere incompresi, vergogna, paura di ritorsioni da parte degli aguzzini, auto convincimento di farcela con le proprie forze. Nulla di più sbagliato.

Unica valvola di sfogo: i coetanei. Forse la vicinanza anagrafica, forse la condivisione di esperienze simili, gli adolescenti trovano nell’amico e nell’amica un sostegno, un margine di confronto, un aiuto psicologico.
Tuttavia, la mancanza di esperienza e di spirito critico tipici delle giovani età spesso contribuiscono a un atteggiamento di sufficienza circa l’episodio manifestatosi, e alla conseguente assenza di reazioni, in un eterno ed immutabile “Vivi e lascia vivere”.

Proprio qui ruota il perno del dilagare di casi di diffamazioni, minacce, offese, perpetrate mediante il supporto informatico. E’opinione comune che ciò che è fatto su Internet rimanga virtuale, addirittura non perseguibile dalla Legge.

In realtà, molteplici sono le normative che mirano alla punizione esemplare di fenomeni del genere, come la Legge n. 71 del 29 maggio 2017, che condanna ogni forma di “pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto di identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica”.

E’dunque strettamente doveroso da parte delle famiglie, degli istituiti scolastici e di qualsivoglia educatore interessarsi attivamente all’uso (e, in talune situazioni, abuso) di smartphone, computer, tablet da parte dei più giovani, consigliando loro, supervisionandone le attività, rendendosi disposti a chiarire ogni dubbio.

Viviamo nell’epoca della comunicazione, digitale e non: ergo, COMUNICHIAMO!

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