Ragazzi - Youth Panel Italia - lunedì, 29 luglio 2019

Intervista a Elena Ferrara: firmataria della legge a tutela dei minori dal cyberbullismo

Puglia



Dall’avvento al suo sviluppo, Internet ha cancellato qualsiasi confine e costituito nuove modalità di produzione e utilizzazione della conoscenza. Da rete come opportunità, però, il passo ad una rete piena di insidie è breve: parliamo dei pericoli legati ad un uso scorretto, uno tra questi è il cyberbullismo.

 

Per cyberbullismo si intende quella forma di prepotenza virtuale attuata attraverso l’uso di internet e delle tecnologie digitali. Come il bullismo tradizionale è una forma di prevaricazione e di oppressione reiterata nel tempo, perpetrata da una persona o da un gruppo di persone più potenti nei confronti di un’altra percepita come più debole, in genere nel gruppo dei pari.

In Italia, la normativa a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto di tale fenomeno è la Legge n. 71 del 29 maggio 2017, che condanna, appunto, ogni forma di “pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto di identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica”.

Di seguito si riporta l’intervista fatta alla promotrice e prima firmataria della legge, Elena Ferrara.

 

-Con la Legge 71/2017, approvata dalla Camera con 432 voti favorevoli, zero contrari e un solo astenuto, entra per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico la definizione di cyberbullismo. Qual è stato il punto di partenza per la redazione del testo? 

“Il punto di partenza è stata la drammatica vicenda di Carolina Picchio, la mia ex alunna quattordicenne che il 5 gennaio 2013 si è tolta la vita non prima di aver scritto le motivazioni “Perché questo? Beh bullismo tutto qui. Le parole fanno più male delle botte. Cavolo se fanno male, ma io mi chiedo: a voi non fanno male?” Diversamente da molti casi di suicidio di giovanissimi, Carolina aveva quindi lasciato una testimonianza chiara delle motivazioni del suo gesto, scoperchiando così il fenomeno del cyberbullismo e permettendo agli inquirenti di identificare i coetanei responsabili delle condotte persecutorie nei sui confronti.

Da allora indagare, analizzare e comprendere l’uso distorto della rete ha rappresentato per me un vero imperativo per capire come si stessero declinando nell’ambiente digitale dinamiche relazionali tipiche della fase adolescenziale. Ho avuto il privilegio, in veste di referente sul tema, di condurre un’indagine conoscitiva nella Commissione Diritti Umani del Senato a seguito della quale ho scritto il testo del disegno di legge che è risultato quindi frutto di un confronto con i soggetti più autorevoli nel settore istituzionali e non. Il ddl 1261 è un testo a valle di una attività di ascolto rispetto ai casi di cyberbullismo che pervenivano in modo sempre più frequente da tutte le parti d’Italia ed è frutto di una ricerca riferita alla normativa internazionale in quanto la piaga della prevaricazione in rete tra pari si registra a livello globale man mano che cresce l’utilizzo delle piazze virtuali. Le strategie di prevenzione e contrasto al fenomeno sono quindi state elaborate anche con le aziende digitali alla quali si è chiesto di partecipare alla rete di soggetti coinvolti (MIUR, Polizia Postale, Dipartimento di giustizia minorile, Servizi socio-sanitari, Garante privacy, Garante infanzia e adolescenza, associazioni impegnate nella promozione dei diritti dei minori e nel contrasto ai bullismi…) proprio per formare un’alleanza per la tutela dei minori anche sul web”.

 

-Obiettivo principale della legge è mettere al centro la scuola in un’ottica concreta ed efficace di prevenzione. Qual è il compito della scuola secondo la legge?

“Il disegno di legge, che mette al centro i minori per tutelarli da un uso inconsapevole della rete e renderli partecipi della loro sicurezza in rete, si è confrontato con altri testi depositati nelle aule parlamentari maggiormente incentrati sul “colpevole” in un’ottica sanzionatoria. Nella legge 71/17 la scuola diventa, insieme alla famiglia che ne è componente a tutti gli effetti, l’agente principale della prevenzione e del contrasto. Non solo quindi il MIUR assume un ruolo centrale di coordinamento rispetto al Tavolo tecnico perché, e lo dicono chiaro le finalità della norma (art. 1 comma 1), tutti gli interventi di tipo educativo/formativo, giudiziario, socio-sanitario siano rivolti ai minori (sia nella posizione di vittime sia di responsabili di atti di cyberbullismo) con obiettivi di tutela. Il MIUR ha da anni attivato il progetto di Generazioni Connesse, nell’ambito del programma pluriennale dell’Unione europea di cui alla decisione 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, con il Safer Internet Centre ha creato una rete di collaborazione con le istituzioni (prima fra tutte la Polizia postale), le associazioni e le aziende digitali; ha previsto e finanziato piani di intervento in tutto il territorio nazionale con azioni rivolte agli studenti, al potenziamento della media education (richiamata peraltro dalla L. 107/15) e con una formazione dei docenti referenti per il cyberbullismo (previsti dalla L. 71/17) in tutti gli ordini di scuola e in tutta Italia, se pensiamo al grande ruolo della piattaforma ELISA, ha aggiornato biennalmente le Linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo e nell’ultima edizione (nell’ambito del piano nazionale di educazione al rispetto 2017) ha sviluppato le nuove misure normative con indicazioni procedurali di segnalazione dei casi e strategie di governance. Già dal 2007, infatti la Direttiva Ministeriale 5 febbraio 2007, n. 16 del Ministro Fioroni aveva dato avvio ad Osservatori Regionali che in molti casi, anche in assenza di fondi specifici che sono arrivati solo negli ultimi anni, hanno svolto un ruolo fondamentale per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di prevaricazione tra pari anche sul web. Ad essi, che si articolano anche a livelli provinciali, è stato demandato il ruolo di coordinamento nelle more della redazione del PIANO INTEGRATO previsto dall’articolo 3 della L.71/17 in capo al Tavolo tecnico insediato, ma inattivo, da oltre un anno (la convocazione è prevista per il prossimo 10 luglio e questa è una notizia che lascia sperare).

Ma la Legge 71/17 lancia un grande segnale di protagonismo dal basso – a partire dai ragazzi – e un impegno alle scuole a fare rete con il territorio per condividere i progetti di intervento tra cui la gestione delle segnalazioni e il sostegno a vittime e cyberbulli. In linea con la Legge 71/17 (che ha rappresentato la cornice di riferimento anche durante i tre anni di iter parlamentare) sono stati infatti approntati protocolli d’intesa sia a livello centrale sia regionale e territoriale, molti di questi incentivati proprio dall’istituzione scolastica ai suoi vari livelli. Una scommessa, quella di creare una vera alleanza educativa con le famiglie, i centri di aggregazione giovanile e la società tutta, raccolta da tantissime autonomie scolastiche che, da sole o in rete tra loro, hanno dato vita a sistemi integrati di servizi territoriali condividendo anche con gli EELL e il privato sociale la sostenibilità economica. Va inoltre segnalato che almeno la metà delle Regioni italiane ha legiferato per programmare piani di intervento di prevenzione e contrasto al bullismo e al cyberbullismo a partire dalle scuole in un’ottica di sistema che spesso coinvolge servizi di competenza specificamente regionale a cominciare da quello sanitario.

Per concludere è importante ricordare che l’articolo 4 contiene riferimenti ad attività specifiche per l’educazione alla legalità e alla cittadinanza digitale per cui le scuole “promuovono l’educazione all’uso consapevole della rete internet e ai diritti e doveri connessi all’utilizzo delle tecnologie informatiche, quale elemento trasversale alle diverse discipline curricolari, anche mediante la realizzazione di apposite attività progettuali aventi carattere di continuità tra i diversi gradi di istruzione o di progetti elaborati da reti di scuole in collaborazione con enti locali, servizi territoriali, organi di polizia, associazioni ed enti”. Le programmazioni scolastiche devono prevedere: la promozione di un ruolo attivo degli studenti, nonché di ex studenti che abbiano già operato all’interno dell’istituto scolastico in attività di peer education; la previsione di misure di sostegno e rieducazione dei minori coinvolti. L’Articolo 5, inoltre, oltre a prevede misure circa i compiti del Dirigente scolastico impegna gli organi collegiali ad integrare i regolamenti d’istituto e il patto educativo di corresponsabilità con specifici riferimenti a condotte di cyberbullismo e relative sanzioni disciplinari commisurate alla gravità degli atti compiuti”.

 

Per contrastare i fenomeni che minacciano il benessere di noi studenti bisogna fare rete tra i vari attori in campo nei processi di prevenzione, riparazione e recupero dei giovani. Secondo lei, in che modo si può coinvolgere la famiglia?

“Se è vero che la scuola ha un ruolo chiave nel creare consapevolezza rispetto ai forti cambiamenti non solo di carattere relazionale determinati dalle nuove forme di comunicazione, certamente è imprescindibile il coinvolgimento della famiglia sotto tanti punti di vista: dalla prevenzione rispetto all’abuso precoce delle nuove tecnologie, alla consapevolezza delle responsabilità genitoriali rispetto ai possibili illeciti di cui i figli si rendono autori o di cui sono vittime. In tal senso nessun adulto che intreccia la vita dei giovanissimi internauti “si senta escluso da precise responsabilità”. Ogni operatore deve essere quindi formato per dare il miglior supporto alla costruzione di una identità digitale che, ahimè, cresce in una famiglia analogica. Quindi sebbene sia assunto come dato di fatto il gap generazionale sull’abilità di smanettare con gli smartphone, non si debbono mettere in discussione i ruoli educativi: nessuna deroga, piuttosto una maggiore attenzione da parte di tutta la società.

I genitori stanno reagendo maggiormente rispetto all’inerzia iniziale sia per la ricorrenza e la gravità dei fatti di cronaca, sia per i vissuti diretti di episodi che emergono dentro e fuori la scuola che dimostrano quanto il fenomeno sia diventato pervasivo nella quotidianità dei figli. Hanno contribuito le tante iniziative sui territori in cui la scuola è stata spesso promotrice, le campagne nazionali di sensibilizzazione della Polizia postale (Una vita da social) fino alla sensibilizzazione a cura della Presidenza del Consiglio che recentemente si è proprio rivolta ai genitori. (http://www.governo.it/media/campagna-di-comunicazione-stop-al-cyberbullismo/10981) . Purtroppo ancora si riscontra una scarsa conoscenza della L.71/17 e dei diritti che attribuisce ai minori (da un’indagine presentata quest’anno al Safer Internet Day dal MIUR risulta che solo il 30% dei ragazzi conosce la norma che li tutela!)

Tutti concordano in questa fase nell’esigenza di divulgare il contenuto della Legge ma di non fermarsi ad eventi spot nelle scuole. Le iniziative promosse sui territori dalle reti di prevenzione e contrasto al fenomeno del cyberbullismo stanno incentivando il desiderio di confrontarsi sul tema, di conoscere meglio i rischi della rete e di assumere una migliore consapevolezza dei bisogni di tutela dei minori in questo nuovo ambiente. Quindi le progettualità debbono essere più strutturate non solo per gli studenti, ma anche per i genitori. L’utilizzo delle nuove tecnologie è un tema che richiede percorsi di consapevolezza non indifferenti perché comportano la disponibilità a mettere in discussione comportamenti ormai consolidati e creare una nuova cultura social ispirata alle regole valoriali. I fenomeni dell’hate speech, fake news, reveng porn (in corso la fattispecie di nuovo reato), stalking informatico, il lievitare dei siti pedopornografici sono aspetti che devono allarmare, ma soprattutto, devono promuovere stili di comunicazione e una sicurezza partecipata di cui proprio le famiglie devono essere promotrici. Direi che sono sempre meno i genitori, e anche gli studenti, che considerano il bullo come “colpevole” di tutti i mali: anche il bullo, peraltro sempre più precoce, è vittima. E’ importante che la famiglia non si senta sola ad affrontare questa grande sfida educativa : trovo molto interessante l’esperienza proposta dal Comune di Ravenna con i gruppi di whatsapp dei genitori di bambini della scuola dell’infanzia in cui si impara a condividere delle regole e a prevenire e mediare eventuali conflitti. Mettersi in gioco in prima persona per verificare le buone pratiche è sicuramente più faticoso, ma anche più coinvolgente.

Molto interessante anche l’esperienza del “Patentino da smartphone” che in Piemonte ha ormai ha superato la fase sperimentale in diverse province, è un’ottima formula di condivisione di responsabilità tra genitori e figli al momento del “prestito” del cellulare in prima media.

Quindi momenti informativi, ma anche formazione a medio e lungo termine che includa anche un’operatività che costruisce regole utili al consolidamento di corretti stili di vita. Sull’uso degli schermi l’Organizzazione mondiale della sanità ha dato recentemente spunti di riflessione sui quali le famiglie vanno senz’altro attenzionate fin dai primi anni di vita del bambino. Gli adulti non possono eludere queste responsabilità!”

 

La Legge 29 maggio 2017 n.71 è entrata in vigore il 18 giugno 2017: quali sono i risultati ottenuti dalla data di pubblicazione nelle scuole e nel lavoro della Polizia Postale?

“Per rispondere a questa domanda, vista la complessità del problema, è evidente che dobbiamo partire dagli obiettivi della norma ben delineati dall’art. 1 “La presente legge si pone l’obiettivo di contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età nell’ambito delle istituzioni scolastiche.”

Quindi la prima verifica, ricordando le misure sopra citate, è quella di monitorare le azioni svolte in tutte le istituzioni scolastiche a partire dalla nomina e dalla formazione dei referenti per il cyberbullismo. La Piattaforma Elisa prevede un sistema di monitoraggio online molto importante perché in grado di condurre approfondimenti su larga scala circa l’incidenza, la prevalenza e l’andamento dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo nelle scuole italiane, ma anche di dare risposte alle situazioni per necessitano di risorse ed intervento. Potranno essere selezionati campioni utili alla ricerca, ma anche si avrà un canale diretto con le scuole che avranno un report personalizzato, una fotografia della situazione del proprio Istituto rispetto ai fenomeni che verrà monitorata nel tempo.

Ecco che con questa azione il MIUR avrà la possibilità di fornire report precisi alle Camere in osservanza della legge che impegna il Ministro all’Istruzione Università e Ricerca a relazionare alle Camere lo stato dell’arte circa la prevenzione e il contrasto al fenomeno, a cominciare dall’anno successivo all’entrata in vigore della norma. Senz’altro entro il 2019 sarà possibile avere dati importanti al riguardo visto che il monitoraggio di Piattaforma Elisa sarà in grado di restituire dati molto puntuali se pensiamo che già ad oggi le scuole iscritte sono 4020, il 47,2% delle scuole statali italiane!

E’ altrettanto importante assumere dati rispetto ad altri indicatori per poter avere una visione più completa della lotta al cyberbullismo. La legge infatti lo prevede attribuendo al Tavolo tecnico il compito di realizzare “un sistema di raccolta di dati finalizzato al monitoraggio dell’evoluzione dei fenomeni e, anche avvalendosi della collaborazione con la Polizia postale e delle comunicazioni e con altre Forze di polizia, al controllo dei contenuti per la tutela dei minori.” In tal caso ci si riferisce alla anche alla raccolta dati circa le denunce, alle procedure di ammonimento (art. 7), agli interventi effettuati in momenti di prevenzione indicata, ovvero quando un episodio di cyberbullismo è in corso o si è già verificato. Ma non potranno essere  dimenticati gli interventi socio-assistenziali e sanitari. E’ evidente che il Tavolo tecnico, avendo al suo interno tutte le rappresentanze per poter verificare questi dati, deve essere messo in condizione di funzionare, cosa che purtroppo oggi non avviene. Tutte le istituzioni che lavorano nel settore devono essere nelle condizioni di fornire mappature e numeri, ma è fondamentale che i dati siano successivamente elaborati con metodi di analisi adeguati e funzionali all’obiettivo sopra ricordato.

Faccio un esempio: diversi articoli di stampa riportano il fatto che le procedure di ammonimento siano state molto residuali in questi due anni. Ricordo che tale previsione è un ulteriore strumento rieducativo ritenuto strategico anche per una tempistica molto ridotta della fase istruttoria. Infatti il minore di 14 anni responsabile di un atto di cyberbullismo nei confronti di altro minorenne, in assenza di querela o denuncia, viene convocato con un genitore dal Questore e ammonito oralmente. Un invito a rispettare la legge (che spesso il minore ha violato inconsapevolmente) che apre un periodo di osservazione che cesserà solo al raggiungimento della maggiore età, senza lasciare traccia sulla fedina penale. Dalla segnalazione dell’illecito all’ammonimento possono trascorrere poche ore e normalmente si ritiene che tale intervento dell’Autorità di sicurezza possa evitare reiterazioni della condotta. Da quanto mi risulta diverse Questure sono intervenute con questo strumento, ma non si conosce il dato complessivo. Quando anche saremo edotti di questo dato dovremo comunque sapere anche che tipo di informazione/formazione è stato fornito dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza nei confronti della Questure e quanti genitori siano stati messi al corrente di tale opzione che, come detto, rappresenta un’alternativa alla denuncia/querela. Sarà poi opportuno interpretare la crescita di denunce, di ammonimenti e di sanzioni scolastiche che possono rappresentare un dato positivo se corrispondono ad un aumento di consapevolezza e non necessariamente di ricorrenza degli eventi illeciti e/o prevaricatori. In tal senso interpreterei i dati forniti dalla Polizia postale che vedono in crescita i reati contro la persona commessi da minori: dai 104 casi registrati nel 2016 si è passati a 177 nel 2017 e 208 casi trattati nel 2018.

La medesima riflessione vale per il dato sulle istanze di rimozione, blocco o occultamento previste all’art. 2 della norma. Un minore, purché 14enne ha diritto, anche in assenza di un genitore, a rivolgere al titolare del trattamento dei dati, richiesta di cancellazione di un contenuto ritenuto lesivo della sua dignità. Il Codice di coregolamentazione, previsto e non attuato dalla legge all’art. 3, impegnerà gli operatori che forniscono servizi di social networking e gli altri operatori della rete internet a coordinarsi per identificare procedure e formati standard volti a dare risposta alle istanze di rimozione e il comitato di monitoraggio, costituito con il Codice, aggiornerà periodicamente, sulla base delle evoluzioni tecnologiche e dei dati raccolti dal tavolo tecnico, la tipologia dei soggetti ai quali è possibile inoltrare la medesima istanza. In caso di inerzia il medesimo minore può avanzare istanza di rimozione al Garante della privacy.

Poiché non è dato sapere quante istanze siano pervenute ai provider titolari del trattamento dati (che sicuramente si sono verificate se pur in assenza della definizione di procedure standard), possiamo però avere un dato su cui riflettere: il Garante della privacy conta circa 100 istanze di richiesta di rimozione e ritiene questo un dato positivo in quanto la responsabilizzazione delle piattaforme sul tema della tutela dei minori, principio su cui insiste la legge 71/17, ha avuto come conseguenza l’accoglimento di rimozione dei contenuti oggetto delle istanze avanzate da minori. In questa dimensione di tutela sul web al fianco della Polizia postale (che ha messo a disposizione una app per le segnalazioni di episodi di bullismo e spaccio) stanno impegnandosi anche i Corecom per la gestione delle segnalazioni.

Nell’attesa di avere i dati su cui riflettere, apprendiamo da Generazioni connesse che per il 2019 ha previsto di coinvolgere oltre 191.000 adulti (genitori, docenti ed altri professionisti dell’infanzia) oltre 610.000 bambini/e e ragazzi/e. A questi dati fa eco il risultato esorbitante della Campagna Una vita da social della Polizia Postale che ormai conta oltre 1.700.000 studenti, 180.000 genitori, 100.000 docenti, 15.000 istituti scolastici e 250 città.

 

Chi oggi grida alla inefficacia della norma risponderei dicendo che non è possibile tirare una riga a due anni di distanza dalla sua entrata in vigore, viceversa chiederei di ascoltare i ragazzi, le centinaia di migliaia di studenti che hanno lavorato su questi temi, le decine di migliaia di peer educator. Perché non vengono ascoltati visto che sono i destinatari della legge?

Vale la pena di rivolgere un grande grazie a loro e ai genitori che si sono impegnati in questa sfida, agli insegnanti, alle forze dell’ordine, agli operatori di giustizia minorile, del diritto, dei socio-sanitari e del privato sociale che si sono prodigati su tutto il territorio nazionale proprio perché siano le giovani generazioni a costruire il benessere in rete”.

 

Noi studenti crediamo che la rete sia un ottimo strumento per la nostra crescita personale e professionale. Secondo lei, in che modo possiamo sconfiggere definitivamente le insidie della rete tra cyberbullismo, hate speech e fake news?

“La media education è la prima risposta per arrivare ad un uso corretto della rete. La maggior parte degli studenti, anche delle scuole superiori, manca di piena consapevolezza rispetto ai pericoli della rete e al disvalore sociale di messaggi d’odio o di notizie false. La posta in gioco è alta e dobbiamo affrontarla con il massimo dell’impegno da parte dell’intera società e non solo della scuola. Come dicevo l’Organizzazione mondiale della sanità ha ben chiarito, nelle recenti linee-guida, che l’esposizione ai devices deve essere molto limitata per i primi anni di vita (massimo un’ora giornaliera dai tre anni in avanti e sempre affiancati da un adulto). Chiare indicazioni in tal senso da parte di tutti gli operatori che hanno rapporti con le famiglie devono essere. Per ottenere questo risultato è necessario che tutti gli operatori siano aggiornati su rischi e opportunità delle nuove tecnologie e che la loro formazione, dato il carattere multidisciplinare del tema affrontato, sia il più possibile trasversale tra operatori e professionisti. L’abuso degli schermi in età precoce è fonte di gravi conseguenze percettivo-cognitive che investono la sfera delle emozioni con mancanza di empatia, ritiro sociale, comportamenti violenti che si svilupperanno dentro e fuori la rete.

Non è utile, tanto meno in questa fase di carenza educativa e formativa, demonizzare chi sbaglia perché l’intermediazione del device, la velocità dell’azione con le nuove tecnologie e l’immaterialità del digitale possono indurre a commettere atti di cui ci si può pentire anche subito dopo: pensiamo per esempio al sexting per cui oggi il 17% dei minori ammette di aver pubblicato sue foto intime. Importante è non fare branco per escludere, offendere, diffamare, molestare. La catena d’odio deve essere interrotta e la segnalazione deve arrivare ad un adulto che sia il referente scolastico, un genitore, un allenatore… Segnalare non solo è un dovere civico ma è quella azione di responsabilità che salverà la vittima e il bullo. Per questo c’è bisogno di una grande operazione culturale ed è per questo che non si può misurare l’efficacia di una legge così innovativa, in un tempo troppo limitato. Gli immigrati digitali, spesso sono i primi a non cogliere il disvalore sociale di quello che postano, condividono, approvano con i likes.

I peer educators in tal senso sono una grande opportunità per creare a macchia d’olio una crescente consapevolezza tra i giovani che, come dico sempre, saranno i primi genitori digitali consapevoli. Per questo la Legge punta sul coinvolgimento diretto dei giovanissimi e dà la possibilità di esigere diritti di tutela fin dai 14 anni.

La strada intrapresa è quella giusta e se oggi emergono i casi è anche perché le attività che vengono svolte sui territori consentono di assumere consapevolezza del fatto che le prevaricazioni non sono mai degli “scherzi” e da lì il passo verso la segnalazione è più facile soprattutto se i ragazzi hanno chiara l’idea che il mondo degli adulti è “vicino” per accogliere anche gli errori e, con le opportune modalità di mediazione e riparative, portare ad una piena responsabilizzazione e al recupero di buoni legami sociali. Facendo “rete” anche nel web tutto questo è possibile”.

 

Conoscere e attuare la legge è, dunque, di estrema importanza.

Le nuove generazioni sono sempre meno consapevoli dei rischi che corrono condividendo ogni tipo di informazione personale e status. I media convivono con gli adolescenti: sono incorporati fisicamente (nelle tasche e nelle orecchie) e sono diventati nell’epoca del web 3.0 un grande e globale “diario segreto”, che poi a ben riflettere tanto segreto non è.

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